Prima salita del 24 giugno 1979 – Gilles Modica e Antoine Noury
Mi rigiro nel letto, non che non abbia sonno ma quel nome e quella parete mi inquieta non poco.
La linea è troppo estetica ed affascinante per non rimanerne soggiogati in un mix di eccitazione, bramosia e timori arriva il fine settimana in cui Andrea e Gianluca ci precedono, mettendo il naso in quel paradiso alpinistico che è il Monte Bianco. Li seguo a distanza di webcam, le condizioni non sono come da previsioni, ma li è quasi una costante. Alla fine saliranno la N della Tour Ronde in condizioni pseudo invernali, vedo le loro facce ed ascolto il loro racconto e mi convinco che oltre che bravi, hanno avuto anche del pelo e le condizioni sono tutte una incognita. Giro di telefonate la sera prima della partenza, non ultima all’amico toscano Omar che mi riporta di una goulotte Valeria magra, secca e che definisce come: “Bella … sai noi siamo abituati alle Apuane!” Il morale scema, la motivazione pure.
Salire una goulotte così impegnativa con condizioni non ottimali, penso sia un azzardo e fuori dalla nostra portata, mia almeno. La mattina del lunedì decidiamo comunque di partire, la finestra di bel tempo pare dilatarsi di almeno 3 giorni e con base al rif. Torino, c’è tutto un mondo alpinistico da scoprire e salire. Qualcosa faremo di sicuro, ci diciamo vicendevolmente quasi ad auto convincerci. Molti deboli segnali remano contro: un bando online in scadenza che non si sblocca con conseguente partenza ritardata, svincolo autostradale per Reggio interdetto, chiamate di clienti con urgenze dall’apparenza non prorogabili, telepass difettoso che emette strani lamenti e non apre le porte. Tiriamo dritto ed alle 15.40 il nostro sguardo si apre alla meraviglia delle cime e pendi ancora innevati, mentre si guadagna vigliaccamente quota grazie alla funivia.
Giunti al rifugio pochi alpinisti ed ancora meno turisti in giro.
Bene, almeno un po’ di pace siamo sicuri di trovarla. Mentre una guida francese è intenta al sole, a rifare il filo ai vissuti ramponi entrano due ragazzi piemontesi già al primo sguardo specialisti ghiacciatori. Scambiamo due parole ed i due appena scesi dalla Modica Noury, ce ne lodano la linea e bontà della materia prima. Peccato solo per un incidente occorso il giorno prima, sembra a causa di una scarica di sassi. Ottima accoglienza e cena al rifugio Torino, concordiamo colazione alle 4.00 e dopo mezz’ora siamo i primi imbragati e pronti ad abbandonare il tepore del rifugio.
Appena fuori dalla porta veniamo investiti da una pala di vento gelido, i guanti leggeri si dimostrano insufficienti ed in men che non si dica capiamo sarà dura anche solo attaccare la via, soprattutto per i primi tiri in roccia. Proviamo a legarci in cordata nel tunnel in lamiera appena fuori, ma le raffiche sollevano già li la corda ed appare distintamente una nuvolosità e variabilità non prevista. Dentro di me ricordo che sul “Bianco” nulla è scontato, neppure la traversata del Gigante che in buone condizioni sarebbe simile ad una passeggiata in quota. Seguono alcune scenette comiche dove la nostra cordata decide di rientrare ed uscire dalla porta del rifugio, per capire l’evoluzione della meteo, almeno quattro volte.
A ben guardarci anche le cordate meno mattiniere, ricalcano questo gioco del metter fuori la testa e dentro il corpo, subito dopo. La stanza si riempie di alpinisti e sci alpinisti fino a che arrivano i chiarori dell’alba. Sono ormai le 6 e capiamo, non senza rimorsi, che il Supercouloir è sfumato. Troppo tardi e noi troppo lenti. Con un senso di rimpianto ma anche di liberazione, lasciamo in rifugio quei pochi chilogrammi che intuiamo non ci servano più: le scarpette, un sacco da parete, la jumar ed il martello. Così alleggeriti di peso e di spirito, affrontiamo ormai alle prime luci l’avvicinamento ai satelliti del Tacul. Ben presto il vento gelido viene scaldato dai raggi del sole e la sua forza, ormai ai piedi del Tacul, perde di vigore. Qui appare in tutta la sua maestosa potenza il Supercouloir. Vero missile di ghiaccio che punta alla cima del Tacul e pare trovarci neppure lì, la fine. Che linea, che estetica, che miraggio Alpinistico. Sembra pure in eccellenti condizioni. Proseguiamo dritti, senza troppo rimuginare e con lieve pendenza e neve crostosa passiamo sotto al Gervasutti e Jager che ci conducono alla meta di oggi. La Gabarrou-Albinoni o la Modica-Noury. Due cordate davanti, per giunta lente, titubanti e trituranti, ci spengono gli ardori.
Decidiamo di comune accordo di salire dove loro non vanno. Quello che si era sognato per settimane e mesi, sul posto è diventato quasi un ripiego dettato dal buon senso e dalla constatazione della nostra, probabile, insufficiente preparazione. Parto subito e già il primo tiro mi invento la sosta su spuntoni per evitare lo stillicidio di ghiaccio che immancabilmente mi prende.
Christian sale veloce e dopo una paretina di ghiaccio che accetta qualche corta vite, decidiamo per una conserva lunga e veloce, tutto a destra del couloir di accesso alle due goulotte. I primi 300 metri scorrono così veloci, ogni tanto piazziamo una protezione su soste o friends e raggiungiamo le altre cordate sul colletto dove i due itinerari brandiscono vita propria. Fortuna vuole che le due cordate si dirigono sulla Gabarrou-Albinoni. A noi toccherà la solitaria e già ombreggiata Modica-Noury. Parlare di ripiego, ora, pare quasi un insulto.
Il ghiaccio è ottimo, siamo solo noi ed i 5 tiri corrono veloci e con un buonissimo affiatamento di cordata. Qualche passo di misto, terzo tiro impegnativo ed in meno di sei ore tutta la splendida goulotte viene accarezzata delle nostre piccozze. Che ambiente. Che spettacolo. Essere qua dentro a queste pieghe granitiche con un amico, con un compagno. Seguiranno dieci doppie veloci ma quasi tutte superiori ai 50m, che in un’ora e grazie agli eccellenti nuovi ancoraggi di sosta, depositano senza patemi oltre la terminale. Ora inizierà la parte più impegnativa della giornata: la risalita al ref. Cosmique che da semplice “passeggiata” in quota si tramuterà in vera prova di forza per la nostra resistenza fisica. L’ultimo colle di accesso al rifugio mi pare da girone Dantesco.
Attuo la progressione himalayana, ogni 10 passi scandisco 10 profondi respiri, tutti rigorosamente con l’aiuto del bastoncino, che infilandosi tra la fronte ed il casco, regge quasi da solo il peso del mio corpo. Dopo minuti, che paiono ore di agonia, raggiungerò il Cosmiques dove passeremo la notte per tentare un’altra goulotte il giorno seguente.
solitamente traccia dal rif. Torino al Cosmique ma in caso di cattivo tempo è un labirinto tra crepi
Punti d’appoggio
rif. Torino 3375 m
Acqua
–
Dislivello avvicinamento [m]
-200m+400
Dislivello itinerario [m]
400
Sviluppo itinerario [m]
500
Quota partenza [m]
3544m
Quota arrivo [m]
3950m circa
Bibliografia utilizzata
Snow, ice, and mixed| vol.2 | JMEditions | F.Damilano it,n°222
Cartografia utilizzata
Monte Bianco IGN 1 : 25000
Difficoltà
Tipologia itinerario
Goulotte Ghiaccio in alta quota
Difficoltà su roccia
M5, brevi passi se in buone condizioni
Grado su ghiaccio
AI 5+
Qualità ghiaccio trovato
Molto buono. Mordibo. Plastico e copioso, poco spindrift e scariche.
Proteggibilità
RS3
Soste
La maggior parte su spit, utilizzate anche per doppie
Impegno
III
Difficoltà globale
TD
Pericolo slavine
Marcato in caso di neve recente.
Materiale
NDA per ghiaccio + misto d’alta quota
Esposizione prevalente
E, N-E
Discesa
con 10 doppie oppure salendo tramite la normale al Tacul
Punteggio difficoltà
–
Nostra gita
Data gita
martedì 14 aprile 2015
Tempo impiegato avvicinamento
2,5
Tempo impiegato salita
6h
Tempo impiegato discesa
2
Compagni
Christian Farioli
Libro di vetta
NO
Giudizio
8,5
Consigliata
Si. Una delle più belle e classiche goulotte sul BIanco
Link utili
–
Discesa:
Tramite 10 doppie da 50m perlopiù attrezzate su recenti spit fix, poi ritorno a ritroso per il rif.Torino oppure al Cosmique (come abbiamo fatto noi)
Si sale ancora per alcuni metri di misto fino a sbucare sulla spalla sommitale del Triangle du Tacul, stando attenti a cornici ci si porta in direzione W fino ad incrociare la normale per il Tacul che tramite percorso crepacciato e seraccato riporta al Cosmique oppure in vetta al mont Blanc du Tacul
I cartografi possono ben tracciare confini lungo le dorsali montuose, stabilire che un versante appartiene a una nazione e un versante a un’altra. L’alpinista che le scala dai due lati dimostra che una montagna unisce e non separa. Lassù calpesta il confine inventato e lo cancella.
Non esiste una vera e propria data spartiacque ma è innegabile che da un certo momento in poi alcuni uomini e donne, abitanti delle basse terre, hanno guardato in su con occhi diversi.
I picchi più alti, almeno in Europa, erano stati tutti praticamente già saliti e lo stile era perlopiù quello imperialista e colonialista: l’uomo si avvicinava a terre sconosciute prima col solito pretesto di conquista e dopo di supremazia, dominio con l’immancabile arroganza di sfruttamento.
Era nato l’Alpinismo ma con queste premesse, del tutto classiche e ricorrenti nella storia dell’uomo, penso che quasi nessuno ne potesse auspicare la longevità e soprattutto prevedere gli sviluppi.
Fu proprio allora, verso la fine del diciannovesimo secolo che i nostri bisnonni alzarono lo sguardo a quelle guglie, pinnacoli e cupole ghiacciate e ne intravidero una seconda anima, una nuova funzione. Le pareti acquisirono dignità propria, il fine era sempre quello di raggiungere il punto più alto, ma ora lo si faceva per versanti diversi, con diversi avvicinamenti e soprattutto una diversa mentalità.
L’uomo si era scoperto anche in questa disciplina romanticamente legato ad una ricerca “del bello”, ad innalzare l’estetica a funzione etica.
Non bastava più salire ma era divenuto importante per “dove” e “come” farlo.
Un chiaro esempio lo si ebbe giusto qualche lustro prima della fine del secolo. Era il 1865 ed un gruppo di quattro alpinisti della Alpine Club inglese insieme a due delle più forti guide del momento, i cugini Anderegg, realizzarono tramite lo Sperone della Brenva la prima traversata dall’italiano ghiacciaio della Brenva, sbucando all’ominimo Col e poi giù in Francia, per le Corridor ed i Rochers Rouges Inferiori. Chiunque capiti da quelle parti, ma anche solo dalla val Veny vede bene che il Bianco, in quel versante, poggia con insistente violenza su un bacino tormentato di ghiaccio facendolo esplodere sotto e stando in piedi solo perché sorretto da mille pilastri e lame granitiche che, puntellando il gigante, ne sostengono la ciclopica mole.
È una visione che toglie il fiato tanto è possente e tangibile la presenza della natura in quei contrasti, scenari che annichiliscono l’uomo ma al contempo lo attraggono magneticamente.
Su di lì passa lo Sperone della Brenva che a ben guardare è come prua in mezzo ai ghiacci. Li frange e divide mettendosi a nudo come la linea più logica e naturale, per pensare di poter salire in quel dedalo di feroce bellezza. Salita che fu affrontata dai primi salitori gradinando per centinaia di metri con energiche ed interminabili sciabolate di piccozza sul ghiaccio a 60°, tra seracchi e crolli che qui trasmettono le sensazioni di terremoti. Questa impresa passò in secondo piano solo per la salita del Cervino il giorno prima e dall’enorme eco mediatico che ebbero le quattro conseguenti morti.
Ecco è da scelte come questa che mi piace pensare sia nato il vero germe dell’Alpinismo.
Persone che guardano le cose con occhi diversi e ne trovano un nuovo lato estetico, di sfida con sé stessi prima che con altri.
Dovevano pensarla così anche Burgener e Moritz v. Kuffner che qualche anno dopo, nel 1887, hanno guardato da Courmayeur la cima del Bianco, che allora doveva apparire più alta e pericolosa dell’Everest oggi, ed hanno tracciato nei loro occhi e desideri quella che sarebbe divenuta una delle più estetiche creste del monte Bianco e non solo.
Armati di scarpe di pelle senza suola in gomma ne ramponi, con un rudimentale bastone con arpione in capo chiamato alpenstock (l’antenato delle nostre iper-tecniche piccozze) e soprattutto senza nessun mezzo di assicurazione intermedia ma solo una corda di canapa, che spesso veniva usata dalla guida solo per “sollevare di peso” il cliente; ecco con questa attrezzatura insieme a J.Furrer ed un portatore si infilarono anche loro su per laBrenva.
Allora le propaggini del ghiacciaio dovevano spingersi fino all’inizio della val Veny ad Entrèves, dove la Dora prende vita non lontano dagli attuali impianti di risalita ma, alla fine di quel secolo, la salita era ancora tutta da farsi a piedi e senza sconti.
Pensare che quattro persone partirono così, senza indicazione alcuna se non la certezza del punto di arrivo ma con nessuna esperienza e notizia sul percorso da farsi, ha tutti i crismi dell’esplorazione di terre vergini in continenti inesplorati.
I nostri protagonisti salgono per i margini orientali del ghiacciaio fino a portarsi su un isolotto roccioso a sud della Tour Ronde. Lì bivaccano il primo giorno vicino a quello che poi diverrà il bivacco fisso della Brenva a circa 3060m. Il seguente ridiscesero sul ghiacciaio e risalirono tra crepacci fino ad individuare un canale di fuga per sbucare quasi sullo spartiacque, vicino alla Calotte de la Brenva. Lì aggirarono “una alta torre di roccia” (probabilmente il Dente sud-est della Fourche) e bivaccarono in piena cresta nei pressi di quello che ora è l’Alberico e Borgna, lasciando con lungimiranza ai posteri in eredità due tra i più iconici bivacchi del gruppo.
Ma fu il giorno seguente che il gruppo disegnò quello che a tutti gli effetti può essere ricordato ed annoverato come un capolavoro di eleganza, intuito e determinazione.
Salirono completamente la cresta a precipizio che dopo ottocento metri di caduta collega il dente in alto: il mont Maudit, con la piramide in basso: la tour Ronde.
Non paghi di ciò in cima al Maudit alle tre e mezza del pomeriggio, ridiscesero al col della Brenva e risalirono fino a quel puntino che si erano dati come meta finale: il monte Bianco che, da dove lo vedevano loro a Courmayeur, distava solo: tremilacinquecento metri di dislivello, un secolo di esplorazione e la riscrittura dei paradigmi dell’Alpinismo vivi fino ad allora.
Non sono forse questi quei “piccoli passi per un uomo, ma un grande passo per l’umanità” che rendono l’esplorazione ai limiti dello scibile umano una delle più meritevoli e palpitanti ragioni d’essere della civiltà umana?
Io penso di sì.
Descrizione sintetica:
Si sviluppa lungo la cresta di frontiera lunga 1800 metri ed ancora oggi costituisce l’itinerario logico e naturale che collega la tour Ronde con il Maudit e Tacul. La cordata dei primi salitori, condotta da Alexander Burgener, partì da Courmayeur e risalì il fianco orientale del Ghiacciaio della Brenva, toccò l’isolotto dove si trova attualmente il Bivacco della Fourche e seguì la cresta dalla Calotte de la Brenva al Col de la Fourche. Dopo il Mont Maudit raggiunsero la vetta del Monte Bianco con una salita quindi di almeno 3700m di dislivello. Oggi grazie agli impianti ed al rifugio Torino è richiesto molto meno sforzo ed abilità agli alpinisti.
Apritori:
Prima salita del 2-3-4 luglio 1887 – Moritz von Kuffner, Alexander Burgener (guida), Josef Furrer e un portatore che arrivarono fino in cima al Bianco.
Alexander Burgener (clicca sulla foto per approfondire)
solitamente traccia dal rif. Torino al Cosmique ma in caso di meteo avverso o recenti nevicate difficoltà di orientamento e crepi sia sul ghiacciaio del Gigante che sul cirque Maudit
Punti d’appoggio
rif. Torino 3375 m – biv. La Fourche 3675m
Dislivello avvicinamento [m]
600 m circa
Dislivello itinerario [m]
800 m circa
Sviluppo itinerario [m]
4km x attacco + 1500 m cresta + 5km Cosmique. Tot 17km (andata e ritorno dal rif.Torino)
Quota attacco [m]
3700 m circa
Quota arrivo [m]
4465 m
Cartografia utilizzata
Monte Bianco IGN 1 : 25000
Tipologia itinerario
Cresta alpina di neve e misto in alta quota
Difficoltà su roccia
M3, breve passaggio di “IV classico del Bianco”
Grado su ghiaccio
55°/60°
Proteggibilità
R3
Impegno
IV
Difficoltà globale
D
Pericolo slavine
Marcato in caso di neve recente.
Materiale
NDA, 1 piccozza classica, 2 viti ghiaccio corte, qualche nuts, friends #0.5-1-2, cordini
Esposizione prevalente
E, SE, N
Discesa
per la normale al m.Maudit e m.Blanc du Tacul
Data gita
10, 11, 12 agosto 2011
Tempo impiegato avvicinamento
4.5 h (2.5h per l’accesso al canale + 2 h di canale e ricerca del posto da bivacco di fortuna)
Tempo impiegato salita
9.5 h (cordata da tre)
Tempo impiegato discesa
3h al ref. Cosmique + 3h dal Cosmique al rif.Torino
Compagni
Christian Farioli – Paolo Dante Gatti
Giudizio
9,5
Consigliata
Si. Una delle più belle e classiche creste sul Bianco e di tutte le Alpi.
Accesso:
Pervenire a Courmayeur e poi direzione Monte Bianco Skyway. Parcheggiare e prendere la funivia per Punta Helbronner/rifugio Torino. Giunti a punta Helbronner scendere con ascensore e percorre la comoda galleria che deposita comodamente (rispetto le vecchie scalinate) alle porte del rifugio Torino 3338m.
Dal rifugio si accede in direzione N per il ghiacciaio del Gigante sulla traccia che conduce al rif. Cosmique (usuale ritorno). Si passa il Col des Flambeaux 3407 m e da qui su percorso crepacciato si scende piegando a SX e passando sotto la parete Nord della Tour Ronde. Si prosegue praticamente in falsopiano puntando in direzione del Grand Capucin e della ormai evidente cresta che collega la Tour Ronde al caratteristico dente della vetta del m.Maudit: la cresta Kuffner per l’appunto. Si aprono due possibilità:
1) Se si vuole bivaccare all’Alberigo e Borgna 3675m (col de la Fourche)
Puntare alla cresta dove si individua il secondo evidente canale dei tre visibili che porta su pendenze costanti tra i 50-55° al Colle de la Fourche (m.3684) ove poco oltre è situato il bivacco Alberigo e Borgna nel versante italiano, sul ghiacciaio della Brenva. In tarda stagione questo canale risulta spesso in delicate condizioni di ghiaccio, sfasciumi e con terminale aperta. Attenzione ad essere mattinieri siccome il bivacco ospita 15 persone e spesso risulta sovraffollato siccome serve anche molti itinerari sulla Brenva. Tempo: 2h30/3h00 dal rifugio Torino
2) Se si vuole accedere direttamente alla cresta Kuffner (soluzione da noi preferita, con un bivacco in parete però)
Puntare alla cresta in direzione NW risalendo verso gli impressionanti seracchi del col.Maudit. Si individua il più ampio dei canali e l’ultimo che collega, prima dei pilastri rocciosi, il sovrastante crinale orizzontale al plateau sottostante, con una ininterrotta lingua di neve. Attenzione all’accesso: anche se pianeggiante è cosparso di importanti crepacci. Passata la terminale risalire il couloir su pendenze costanti sui 50° proteggendosi a volte sulle rocce di DX o mediante viti
Dentro al canale con pendenze costanti sui 50°
fino a sbucare sulla orizzontale cresta a 3740 m. Questo canale di 180 m a 50°, rappresenta la variante d’attacco diretta dal rif.Torino ed è utile e vantaggiosa in caso di stagione avanzata o bivacco sovraffollato. Prima salita da R.L.G. Irving, G.L. Mallory, H.E.G. Tyndale il 18 agosto 1911 Tempo: 3h/4h dal rifugio Torino
Relazione salita:
Dal biv. della Fourche (Alberico e Borgna, 3675 m) si segue la affilata cresta orizzontale su terreno misto ed esposto, aggirando a destra un gendarme fino a trovarsi sopra un pendio nevoso che scivolando a destra termina al cirque Maudit. Questo è il
fine del canale di accesso diretto dal rif.Torino in prossimità della congiunzione con la cresta che porta al bivacco della Fourche
canale di accesso diretto dal rif.Torino (avvicinamento 2) Poco dopo la cresta inizia a salire. Tempo: 30-40 minuti saremo sui 3740 m
Prima parte della cresta (dall’accesso diretto alla punta dell’Androsace)
Giunti a 3740m circa, dove il canalone di accesso diretto si congiunge con la cresta che parte dal col de la Fourche la cresta inizia a prendere quota per terreno misto
I primi tratti di misto sulla Kuffner
fin contro un primo grande risalto che si supera sul versante est (Francia). Si prosegue in parete, salendo verso sinistra sul fondo innevato di un largo canale roccioso. Si riprende la cresta dove ridiventa nevosa portandosi sull’altro versante W (Brenva) fin sopra il primo risalto. Presto la cresta diviene ancora più sottile e aerea fino ad una spalla nevosa, simile ad una onda ghiacciata (orlate cornici sul lato E) che è un simbolo iconografico e fotogenico della Kuffner
Sull’onda ghiacciata prima dell’Androsace, il versante Brenva toglie il fiato.
Percorrendola si giunge ai piedi della rocciosa Pointe de l’Androsace a 4107 m.
sulla gengiva dell’Androsace
Questa aguzza punta strapiombante di solito si aggira per la gengiva, scendendo qualche metro a sinistra (vers. Brenva) con un traverso di misto su lastre sfaldate esposto ma proteggibile su spuntoni. Risalire poi con andamento diagonale da destra a sinistra (faccia monte) un canalino di misto ( terreno instabile con poca neve ).
Aggirando in basso l’Androsace
Dopo 15-20m ed un tecnico passo in fessura (pass. IV, 1 ch) si giunge sulla crestina nevosa oltre la punta a N, ma ancora alti. Qui su un blocco si trovano cordini per una breve doppia di 5m o per assicurarsi disarrampicando (II esposto).
Sui blocchi della breve doppia dopo la gengiva.
Si approda così ad una piccola sella, preludio della
Seconda parte della cresta che ci porterà fin sulla spalla del Maudit
Ripresa la cresta si raggiunge per terreno misto la spalletta nevosa a 4240 m dove si unisce con la cresta che sale dal Col Maudit 4030 m (possibile primo punto di discesa). Si prosegue verso W sempre su misto esposto (passi di II, III) e tramite un sistema di diedri paralleli ed una affilata crestina finale fino alla
misto esposto
aerea spalla del Maudit a NE 4345 m.
Qui inizia la terza parte (dalla spalla alla cima DEL MAUDIT)
Alcune cordate preferiscono da qui scendere ma se non avete buoni motivi il consiglio è proseguire fino in cima al Maudit. L’itinerario qui cambia versante approdando a quello N e ridiviene completamente nevosa
cresta sommitale dalla spalla a 4345m in vista della cima e del Col du mont Maudit dove passa la normale.
Stare bassi sulle estetiche ma prominenti cornici e salire il pendio N che porta proprio sotto la rocciosa ed aguzza torre sommitale. Questa si aggira a destra (W) stando in piena parete N e salendo appena possibile alla gengiva nevosa nel tratto più alto e proficuo. Ora solo la breve cresta W di pochi metri vi separa dalla vetta.
Mont Maudit
Tempi:
ore 6-8 dal bivacco della Fourche ore 8.30-11 dal rif. Torino
Dalla spalla del Maudit, alla fine delle difficoltà, si esce sulla cresta nevosa che porta ad W verso la cima del m.Maudit. Questo è un buon punto in caso di ritirata siccome è possibile scendere percorrendo la cresta che collega al col Maudit (45°, tratti di misto) e da lì facilmente ricongiungersi alla traccia per il m. Blanc du Tacul e quindi intercettare la normale che scende al ref. Cosmique. Tot 2-2.5h Oppure se si conosce l’ubicazione usare le doppie attrezzate (informarsi sullo stato) della goulotte Filo d’Arianna per approdare direttamente alla combe Maudit e quindi velocemente al ghiacciaio del Gigante.
2) Dalla cima del Maudit è possibile:
A) Scendere per la “normale dei 3 monti” al monte Bianco
Le cordate solitamente utilizzano questa “normale” dapprima scendendo verso Ovest direzione col de la Brenva e poi deviando appena possibile a N, N-E ad intercettare la buona traccia.
nei pressi del Col de La Brenva intercettando la traccia che sale al monte Bianco
Da qui si perviene al col du mont Maudit (4365 m) e si discende il ripido canale con crepaccia terminale, che porta sotto alla spalla NE del Maudit (in stagione possibili doppie attrezzate dalle rocce e/o su fittoni).
nei pressi del col Maudit 4029 m, la parete N del Maudit e la traccia della “normale ai 3 Monti” è evidente
Da qui in falsopiano fin al col Maudit (4035 m) e poi breve risalita per scavallare il crinale che spalanca la vista al versante Nord del mont blanc du Tacul ed alla sottostante
Aiguille du Midi, sotto il ref. Cosmique e aiguille Verte sulla destra.
Aiguille du Midi (3842 m) e ref. Cosmique (3613 m). Tra un dedalo di crepacci e seracchi si perviene alla base del Triangle du Tacul nei pressi del col du Midi (3532 m).
Qui si aprono altre due possibilità:
Si pernotta al ref. Cosmique (prenotare). Con lungo movimento antiorario si risale al ref. du Cosmique (3613 m) si pernotta ed il giorno seguente si ritorna al rif. Torino (vedi sotto), alla luce del sole sul magnifico ghiacciaio del Gigante con panorami mozzafiato e senza l’assillo di perdere la funivia. (consigliato e soluzione da noi adottata). Tempi: Dal m.Maudit al ref.Cosmique in circa 2-3h (variabili da affollamento, doppie e stanchezza)
Si scende al rif. Torino (prenotare l’eventuale pernotto ed avvisare se si fa tardi) Si intercetta la traccia che in stagione è presente dal Cosmique al Torino e che passa più o meno vicino al col du Gros Rognon (3415 m pilone dell’ovovia). Attenzione a non aver fretta e tagliare siccome il pianoro è altamente crepacciato. Da lì scendere dolcemente e passare in rassegna il Pillier Cecchinel, la Modica-Noury, couloir Gervasutti, il pillier Boccalatte, il Supercouloir, la Pyramide tu Tacul, la Pointe Adolphe Rey e dall’altro versante Aiguille Verte, Grand Jorasses e Dente del Gigante chiudono la quinta scenica. Per quante montagne abbiate visto, questo colpo d’occhio è unico al mondo e merita già da solo il viaggio! Appena lasciati dietro i satelliti del Tacul (seracchi) si perviene al punto più basso a circa 3150 m e quindi saranno da risalire gli ultimi infiniti 260 m puntando subito al col de Flambeaux 3407 m e poi in falsopiano fino al rif. Torino. Tempi: 3h dal ref. Cosmique. 5-6h dalla cima del m.Maudit. 13-17h anello completo rif.Torino – Maudit – rif.Torino
B) Salire per la “normale dei 3 monti” al monte Bianco
Soluzione molto estetica ed appagante che prevede la discesa al col de la Brenva 4303 m e risalita per il Mur de la Cote ed i Petits Mulets fino in cima al monte BIANCO 4810 m. Da li poi diviene logico scendere e pernottare al ref. GOÛTER 3865m od in caso di meteo avverso un bivacco alla capanna Vallot 4362 m. Il giorno seguente:
scendere al ref. Tete Rousse 3165 m e poi ritorno con mezzi pubblici in Italia oppure
risalire al Dome de Gouter 4306m e poi scendere per la normale Italiana al rif. Gonella 3071 m, compiendo una traversata tra le più belle, intense e complete delle Alpi e non solo!
In rosso la salita, in viola la discesa al Cosmique ed in blu il ritorno al rif.Torino. fonte http://www.ign.fr/
GPS
Note:
la cresta non oppone mai passaggi tecnicamente molto difficili però è decisamente continua sul profilo dell’esposizione e concentrazione richiesta. Occorre essere a proprio agio sui ramponi in ogni situazione e per parecchie ore, una scivolata viene pagata il più delle volte con la caduta della cordata intera siccome si è sempre su un solo ripido versante e con protezioni aleatorie.
valutare attentamente la meteo, soprattutto lato francese. Una volta passata l’Androsace è più veloce e sicuro uscire sulla spalla ed appena possibile scendere al col Maudit, piuttosto che ripercorrere la cresta a ritroso. Non ci sono vie di fuga intermedie.
salire solo in cordate affiatate e non troppo eterogenee sotto il profilo dell’esperienza, resistenza fisica e livello tecnico.
a stagione inoltrata i canali di accesso o qualche diedro a sud sotto la spalla del Maudit potrebbero essere secchi ed andare in verglas. Ciò potrebbe rendere utile una seconda piccozza.
Noi partendo tardi e trovandoci al rif. Torino nel pomeriggio abbiamo trovato il bivacco della Fourche pieno e di conseguenza abbiamo deciso per un bivacco di fortuna in cresta, sotto un sasso. La posizione l’ho segnalata nella relazione ma tenetela come ultima chance, molto più agevole partire dal rif. Torino 3h prima.
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Day 1, dal rifugio Torino al bivacco di fortuna in cresta: