Uno degli aspetti che mi piace meno del moderno alpinismo è la ricerca spasmodica del “socio”. Magari anche solo per un fine settimana od una singola “via” che è rimasta fuori dalla collezione. Non importa chi c’è, fondamentale è andare, meno importante con chi, ma il socio serve.
Proprio non mi riesce a tollerare quel termine, prettamente utilitaristico, opportunista e legato al compimento dell’impresa, più che alla natura e legami tra i soci.
Una parola che già sottintende la profusione degli sforzi per il raggiungimento della meta e non pone attenzione e cura per il percorso; per l’esperienza che diverrà presto vissuto, che sarà come un abito caldo del nostro ricordo. Ed in quel ricordo ci legherà vicendevolmente con la persona tanto che, passati anni, della cima o via poco rimarrà ma di quell’incanto, della cordata, quasi tutto.
Oggi cercavo foto. Distrattamente ho letto ciò. Mi è tornato in mente perchè andavo per monti. Mi motiva per andarci ancora.
Giorgio Bertone sotto a El Capitan, Yosemite, USA
El Capitan, novembre 1973:
«Grazie all’interessamento di Giorgio, ero andato con lui negli Stati Uniti al termine della stagione estiva qui a Courmayeur. Per prima cosa siamo stati un po’ di tempo nella Monument Valley, quella dei films western, con gli indiani che inseguono le diligenze e poi arrivano i nostri, a scalare pareti e pinnacoli di 100 e anche 200 metri, diritti come il filo a piombo».
«Un’esperienza bellissima, così diversa da quanto avevo fatto o visto sino ad allora: c’erano gli indiani che ci guardavano come si guardano i matti. Sai, allora i freeclimbers, quegli acrobati che in costume da bagno e scarpette da ginnastica van su dappertutto come i ragni, erano ancora rari, e noi facevamo tutto in modo classico, con scarponi, chiodi, staffe e corde».
«Poi, di là, siamo andati in California, nel parco dello Yosemite, per fare il famoso El Capitan, una parete a spigolo di 1000 metri, dritta come un fuso, una montagna ché non è una montagna. È solo una grande bellissima parete che comincia di colpo a cento metri dalla strada asfaltata per le macchine dei turisti del parco, e finisce su un altopiano, per cui quando esci in cima puoi passeggiare con le mani in tasca in un bel bosco di pini. Noi eravamo i primi italiani che andavano a tentarla».
«Per farla breve siamo stati su quella parete per 6 giorni e 6 notti, e l’ultima notte per colpa mia, o quasi. Tieni presente che era il ’73, e che noi abbiamo affrontato la scalata per la via del Naso, la più diretta, con i metodi di allora, carichi di attrezzature come dei muli, con l’enorme sacco da recuperare ad ogni tiro di corda, e che era novembre, non c’era più nessuno in giro e le giornate erano ormai decisamente corte».
«Insomma alla fine del sesto giorno di arrampicata, e dopo 5 bivacchi in parete, oramai esausti e affamati, Giorgio riuscì ad uscire in cima, proprio mentre si scatenava un temporale coi fiocchi, acqua a catinelle e fulmini tutt’intorno».
«lo ero 40 metri sotto, col saccone, e lui mi incitava a fare in fretta, che era uscito,era finita, che ce l’avevamo fatta. E in quel momento mi venne un attacco di paura, in quel finimondo di acqua e lampi, con quei mille metri di vuoto sotto i piedi, ecco, non mi riusciva più di muovere un dito. E sopra, Giorgio mi urlava improperi, mi incitava a muovermi. Allora gli urlai di andare, di lasciarmi lì perché non ce la facevo a muovermi fra acqua, corde bagnate e incastrate, con quella paura irrazionale che mi bloccava».
«Per un po’ non lo sentii più, c’era solo la pioggia che mi inondava dalla testa ai piedi, pensai che se ne era andato e mi sentii miserabile, era ormai buio fitto e mi aspettava la sesta notte in parete. Poi sentii un rumore sopra di me, e dopo poco Giorgio era al mio fianco. Era ridisceso per quei dannati ultimi quaranta metri per venire a passare la notte con me e non lasciarmi solo!».
«Quando lo vidi ben appeso ai chiodi gli dissi: “Bel compagno ti sei scelto”, e lui mi rispose:
“Bôcia, di compagni posso trovarne tanti, di amici no. “
da Monte Bianco e Dintorni, Renzino Cosson, Priuli e Verlucca, 1983.