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Vita
Umberto Conforto fu un alpinista e rocciatore vicentino appartenente al Club Alpino Italiano, ed iscritto al Club Alpino Accademico Italiano dal maggio 1940. Esercitò la sua passione sulle Piccole e sulle Grandi Dolomiti prevalentemente nel periodo prebellico, a partire dall’estate del 1932, quando per la prima volta avvicino’ una parete.
Umberto nacque il 25 dicembre 1911 in una famiglia della piccola borghesia vicentina, e fu il quarto di sei figli. La madre Elviretta perì tragicamente nel 1919 all’età di 39 anni, mentre il padre Isaia, noto professionista dedito all’intermediazione immobiliare ed originario dal paese di Gambugliano [VI] decedette per malattia nel 1927 all’età di 53 anni. Da quel momento il giovane Umberto, grazie ad un naturale ascendente che gia’ godeva sui suoi fratelli, coadiuvo’ la ventunenne sorella Elisabetta nella conduzione familiare. Compì gli studi tecnico professionali, e successivamente frequento´ anche l’ Istituto Tecnico Industriale A. Rossi di Vicenza, dove conseguì il brevetto in Telegrafia. La famiglia numerosa ed i tempi complessivamente difficili non gli consentirono di proseguire gli studi. Inizio´ cosi l’attivita’ lavorativa come operaio meccanico manutentore presso il Tubettificio Favretto in Longara [VI], per divenire poi il responsabile della manutenzione dell´intero stabilimento. Al lavoro si dedicava con intelligenza e passione, fino a diventare Dirigente di azienda ed Amministratore della ditta vicentina Abrax nel 1940. In tale veste nel primo dopoguerra diede il suo contributo alla fondazione dell’Associazione Industriali di Vicenza.
Il periodo giovanile lo vide iscritto alla Associazione Esploratori Italiani [GEI], e frequentare il Centro Atletico Vicentino Umberto I per l’atletica pesante. Egli conobbe la montagna attraverso le lunghe escursioni sulle Piccole Dolomiti con gli amici esploratori, e colá ebbe l´occasione d´ incontrare e conoscere i rocciatori del gruppo vicentino del CAI. Da questi incontri alla proposta di fare cordata su una parete il passo fu facile ed entusiasmante. Era la piena estate del 1932.
Subito apparve evidente la sua serena tranquillità nell´avanzare in parete, e la sua istintiva facilità di apprendimento. I suoi modi erano sicuri e armoniosi e davano l’impressione di chi non fa fatica ad avanzare. Non mostrava bisogno od affanno nel cercare gli appigli. “… non si capiva come era passato” fu detto qualche tempo dopo. L’ estate del 1933 fu caratterizzata da una graduale apprendimento e progressione nelle difficoltá affrontate, sempre sulle Piccole Dolomiti, e con compagni di cordata diversi. Fu accolto nel gruppo dei rocciatori vicentini trovandosi ad essere una “buona” e giovane matricola. Il 1934 lo vide capocordata e sestogradista affermato. Che fosse secondo o primo in cordata, egli conferiva indubbia tranquillitá e certezza al compagno. L’ insieme delle sue doti lo elessero naturalmente alla funzione di primo, quantunque non ebbe mai a pretendere di esserlo
Il tempo che egli poteva dedicare alla montagna era limitato al fine settimana, perché c’erano da seguire la famiglia ed il lavoro in fabbrica. Certamente la sua passione chiedeva volonta’ e spirito di sacrificio oggi impensabili : i suoi mezzi di trasporto erano la bicicletta od il trenino, piu’ lunghe sgroppate a piedi per raggiungere la montagna, od il camion se si trattava di una gita organizzata. Le partenze ed i rientri erano giocoforza notturni. Pochi fortunati disponevano di propria attrezzatura per l´arrampicata: la sede vicentina del CAI suppliva al bisogno prestandola, ma con l´ ínconveniente per il socio di imbattersi sul “tutto esaurito”. Nonostante tutto la montagna divenne in lui da subito una passione esclusiva e forte, e gli appuntamenti con essa si potrebbero definire come settimanali, ben permettendo il clima.
Umberto fu animo libero, giusto, schietto e generoso, schivo di ogni pubblicità o risonanza anche quando egli raggiunse una indiscussa notorietà nell´ ambiente alpinistico italiano, e piu’ tardi oltre i confini nazionali. Forse per scaramanzia, ma molto probabilmente per salvaguardare quell’intimo rapporto che lo legava alla montagna, egli non amava essere fotografato in parete, e le poche foto rimaste sono la testimonianza di questo suo atteggiamento. Alla sorella che lo pregava e lo raccomandava puntualmente di usare prudenza, sosteneva che la montagna non l’avrebbe mai tradito. Un presentimento che forse traeva origine dal rispetto e dall’ amore profondo che egli nutriva per essa. Era persona prodiga e di spirito, quindi sempre benvoluta se non cercata dalla compagnia: la sua casa era abitualmente frequentata da amici alpinisti, e non, ma tutti desiderosi di andare in parete con lui, e lui non si negava a nessuno.
Nel 1936 con Gino Soldà compì la prima ascensione sulla parete SudOvest della Marmolada, che all’epoca fu considerata, senza ombre di dubbio, come la via più difficile delle Dolomiti. Fu ripetuta per la prima volta nel 1949, con ben altri mezzi a disposizione e dopo precedenti numerosi ed illustri tentativi falliti. Nel 1939 con Franco Bertoldi compì la prima ascensione sulla parete Sud della Marmolada di Ombretta, senza alcun uso di quei mezzi artificiali che giá allora erano adottati da bei nomi dell´alpinismo, e parimenti considerata via di estrema difficoltà. Ripetuta per la prima volta nel 1964. Queste sono, se cosi vogliamo chiamarle, le sue grandi imprese di risonanza nel mondo alpinistico europeo compiute nel decennio 1932 – 1942, e questo denota un altro aspetto non trascurabile del suo carattere: non ha mai concepito l’uso utilitaristico dell’arrampicata, non ha mai corso per mostrare di essere il piu’ forte o il piu’ grande, non ha mai nutrito rivalita’, all’epoca cose particolarmente diffuse. Gli bastava quel che lui pensava di se’ stesso.
Per il suo carattere forte non accettò mai il regime che allora vigeva in Italia. Nel luglio del 1937, quando fu invitato a Roma per essere decorato al merito atletico dal Duce in persona, egli manifesto´ categoricamente l´intenzione di non presentarsi. Lo fecero desistere solo le preghiere e la pressante insistenza degli amici nel paventare quali ritorsioni la famiglia avrebbe potuto subire. Ma non tardò di molto il momento di poter affermare e combattere per i propri innati ideali di libertà e giustizia, entrando attivamente e di propria volontá nella lotta clandestina sin dal suo inizio, quando egli avrebbe potuto rimanere tranquillamente in pace ed in famiglia per tutti gli anni di guerra. Il gesto gli procuro´ non poca e duratura stima fra i compagni partigiani, che tali furono per cosciente scelta e non per costrizione. Non fu richiamato alle armi perché amministratore di azienda dichiarata di importanza bellica e ciò gli diede la copertura per operare in qualità di staffetta, ed aderendo al gruppo di Dino Miotti. Parecchi furono gli episodi in cui diede prova della sua generosità, coraggio e sprezzo del pericolo.
Contrasse matrimonio nel 1941 con Elide Cenzatti, venticinquenne compagna anche di ascensioni, e che gli diede due figli, Paolo nel 1942 e Maria nel 1943. Ed e’ stata lei da sola che ha portato i figli fino alla eta’ adulta, fedele testimone del loro padre.
Umberto morì la sera del 12 febbraio 1949 in Viale Verona a Vicenza, davanti alla sua fabbrica, mentre in sella alla sua bicicletta sostava lungo il bordo stradale destro, intrattenendosi con il collega Valente per motivi di lavoro. Fu investito in pieno da un’auto in evidente sbandata, guidata da un ventenne alticcio e di nota famiglia vicentina che, con un´auto prestata e tre ragazze a bordo, tornava da una festa studentesca. Il Valente rimase illeso, si direbbe per miracolo. L´investitore fu abbastanza lesto nel dileguarsi con le tre ragazze approfittando della oscuritá, mentre i pochi testimoni guardavano quel corpo inanimato che era stato trascinato sulla strada per metri e metri dalla vettura ormai senza piú controllo. Un prete, intervenuto pochi istanti dopo per puro caso, gli impartí la assoluzione e gli chiuse gli occhi per sempre.
La Sezione di Vicenza del Club Alpino Italiano onorò la sua memoria istituendo nella sua sede la Targa Umberto Conforto, sulla quale ogni anno, dal 1949, viene inciso il nome del migliore socio scalatore, ed intitolando al suo Nome la propria Scuola di Alpinismo, Sci Alpinismo ed Arrampicata Libera.
LAVARONE
E´ una calda giornata d’estate, quanto di meglio per una passeggiata al lago con i bambini. E’ anche un giorno di festa e molti papà ne hanno approfittato per raggiungere la famiglia cola’ in vacanza. Marina e Francesco, Maria e Paolo così raggiungono con i rispettivi genitori la riva del lago, che sta dirimpetto alla localitá di Chiesa di Lavarone. In quel punto sorge una piccola costruzione in legno, con il tetto piano ad uso solario per i numerosi turisti, che già frequentano la nota località alpina. Sullo stesso solario era stata sistemata una tavola, sporgente sul lago, con funzione di trampolino per i tuffi. Qui Francesco inavvertitamente si svincola: la sua innata curiosità di bimbo lo porta sul trampolino, ne raggiunge l’estremità, dove perde l´equilibrio e cade in acqua. Umberto, che si appresta da ultimo a salire sulla scaletta, sente il tonfo seguito dalle grida dei presenti: egli torna sui suoi passi, si sveste rapidamente e si tuffa dalla pedana prospiciente la riva sul punto indicato dai testimoni, giacche’ Francesco era già scomparso sott´acqua. Le onde provocate dal tuffo si diradano e solo bolle d’aria emergono a tratti. Il silenzio incombe. Quando Umberto riemerge non ha il bambino con sé, ma il panico che sembra attanagliare i presenti lascia subito lo spazio ad una rinnovata speranza: egli grida di averlo individuato, quindi scuote la testa, trae un profondo respiro e si immerge nuovamente. L’attesa pare interminabile ma alla fine Umberto riemerge con Francesco sollevato fra le mani e si porta a riva. Al bambino, circondato da tutti i presenti, viene subito prestato soccorso. La tensione è grande, ma ad un tratto Francesco scoppia in un pianto disperato: egli è salvo. Era l’estate del 1947.

Il lago di Lavarone in una cartolina d´epoca, con vista del solario in una giornata di festa.
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Da sinistra: Paolo, Francesco, Marina e Maria in vacanza a Lavarone nel 1947
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