Punta Rocca, 3309m
Marmolada (BL)
Siamo in cordata a 3: io, Franz e Gio carichissimi per scalare la parete sud della Marmolada. Anche se con un po’ di timore, almeno da parte mia, so che sarà la scalata più dura che abbia mai fatto ma sono due anni che sogno di farla quindi … forza e coraggio si va !
Sono le ore 7 di venerdì 17 luglio. Dopo una bella colazione, accompagnati da Milo che poi ci saluterà alla Malga Ombretta, partiamo da Malga Ciapela con gli zaini pieni di attrezzatura e di tutta la nostra voglia ed entusiasmo. Ci sentiamo pronti ed in forma, ma presto scoprirò che scalare in Marmolada è tutta un’altra cosa da quello che ho sempre fatto in Dolomiti, non per niente è la regina delle Dolomiti
Abbiamo monitorato le previsioni da alcuni giorni e preso più volte informazioni dal rifugista del Falier per trovare la finestra di bel tempo utile per passare due giorni e una notte (in teoria) in parete.
L’avvicinamento alla malga di circa un’ora passa veloce tra chiacchiere e risate. Ci sentiamo veramente bene e carichi ed arriviamo a Malga Ombretta ove ci ristoriamo un po’ perché poi avremo ancora un’altra ora e mezzo di cammino.
Salutiamo Milo che ci abbraccia e ci augura una buona scalata. Ora siamo solo noi tre e subito sento che non ci sarà più nessuno dei nostri amici a sostenerci e confortarci, siamo noi 3 uno nelle mani dell’altro a portare avanti e vivere questa avventura. Si inizia !
Riprendiamo il cammino verso il Falier, dove lasceremo i nostri nomi e numeri di telefono su indicazione del rifugista. Un caffè, un pezzetto di crostata e si riparte verso l’attacco della via. L’adrenalina e l’entusiasmo aumentano sempre più e d’un tratto ci si presenta davanti la parete in tutta la sua maestosità.
Fino a quando non ci sei proprio sotto non ti rendi conto di quanto sia immensa. Mancano 50 metri. Ci fermiamo e indossiamo imbrago e caschetto, prendiamo fuori tutta l’attrezzatura, un abbraccio e un incoraggiamento reciproco tra noi e ci avviciniamo al diedro rossastro che segna l’attacco della via; l’inizio della nostra avventura.
Sì perché proprio di un’avventura si è trattato.
Parte Franz che è il più forte e secondo i piani deve scalare i primi 6 tiri, quelli con le difficoltà maggiori.
Lui è il più forte e su queste difficoltà ha ancora parecchio margine.
Con una bellissima e attenta arrampicata arriva alla prima sosta, recupera le corde e ci mette in sicura pronto a farci salire, in me la tensione sale. Sto iniziando a scalare una parete che temo e che mi piega le orecchie solo a guardarla, mi trovo in uno stato mentale mai vissuto in nessuna scalata, so che qui non si scherza.
Parto.
La roccia non è per niente solida, anzi in quel punto fa proprio schifo.
Dopo circa 10 metri tocco una presa invitante e crolla un pezzo di roccia grande come il caschetto di Gio e gli arriva proprio in testa e poi sul braccio destro. La sua testa sanguina, probabilmente graffiata dall’interno del caschetto.
Non iniziamo per niente bene. Dopo esserci sincerati che non si tratti di nulla di grave, Gio si riprende un attimo e ci dice che se la sente di continuare. Proseguo facendo la massima attenzione a tutto quello che tocco ma dopo alcuni metri un appoggio si sgretola e volo giù. Sembra marcia sta roccia!
Franz non manca di farmi notare che se fossi stato io da primo mi sarei già fatto male o peggio e ha perfettamente ragione.
Arrivo in sosta e poco dopo arriva Gio, riguardiamo a modo la sua ferita, sembra solo un graffio ma mi dispiace un casino per quello che è successo. Passiamo tutto il materiale a Franz e guardiamo la descrizione del prossimo tiro. Franz riparte e questo si ripeterà per i prossimi 5 tiri.
Questa prima parte della via è dura e non un granché divertente. La nebbia ci avvolge, le temperature calano e questo è quello che, al contrario delle previsioni meteo, ci aspetterà fino alla discesa due giorni dopo.
È il turno di Gio.
Parte per il suo primo tiro, arriva piano piano in sosta e ci recupera. Al secondo tiro, una volta arrivati in sosta, ci confrontiamo e capiamo che così siamo troppo lenti, inoltre abbiamo freddo e poca sensibilità a mani e piedi, ma non abbiamo intenzione di mollare e probabilmente ormai ritirarsi sarebbe più difficile che salire.
Decidiamo che è meglio e più sicuro far andare da primo Franz. Io e Gio spesso abbiamo freddo stando fermi in sosta e preghiamo di vedere il sole che proprio non arriva tra diedri e camini lisci e bagnati. Arriviamo all’ultimo tiro di questa prima giornata dopo 13 ore di scalata, le ultime due con la frontale per illuminare dove mettere le mani; mani che terrò sempre dentro le maniche del goretex, perché tanto non sento più cosa tocco ed i piedi, ormai congelati, non posseggono più sensibilità. La stessa cosa la stanno vivendo anche i miei compagni.
Alle 23 raggiungiamo la cengia mediana e troviamo una rientranza dove allestire il giaciglio per la notte. Abbiamo fatto scelte differenti su come coprirci: Franz e Gio hanno optato per uno zaino più ingombrante e scomodo per scalare ma a favore del caldo sacco a pelo e del Termarest; io invece ho preferito averne uno più compatto ma senza sacco a pelo, con un sacco da bivacco e più abbigliamento. Secondo me per passare una notte era sufficiente, non sapendo che non sarebbe stata l’unica di notte.
Prendiamo dallo zaino i viveri per la cena e mangiamo, dopo aver scaldato l’acqua per la tisana che ci riscalderà un attimo, ci mettiamo sdraiati pronti a dormire.
Il cielo adesso è sereno e stellato, forse l’immagine più piacevole della giornata.
Pian piano riesco a trovare una posizione sufficientemente comoda, ma ogni soffio di vento mi fa tremare dal freddo. Riesco finalmente ad addormentarmi ma mi sveglierò più volte nella gelida notte. In realtà non ho proprio dormito ero più che altro in uno stato di dormiveglia. Non ricordo nemmeno di aver sognato, ma ricordo bene di aver guardato più volte i miei compagni che riposavano.
Finalmente il sole sorge e pian piano la luce ci sveglia, salutiamo la cordata sdraiata poco distante a noi sul terrazzino di Tempi Moderni, due ragazzi tedeschi che affermano che i loro sacchi a pelo sono ricoperti di brina; anche le nostre corde ed i nostri zaini non sono da meno.
La colazione prevede succo di frutta ed una barretta che divoriamo.
Il cibo è finito e rimane solo un po’ di frutta secca ed una banana per tutta la giornata.
Rimettiamo l’imbrago, ci leghiamo ed iniziamo ad attraversare la cengia fino a trovare l’attacco della Diretta Messner.
Di nuovo carichi e motivati, convinti di scalare abbastanza velocemente questa seconda parte di via, ma in realtà non sappiamo ancora quello che ci aspetta.
Franz riparte a scalare su questa immensa placca di roccia stupenda, in una giornata più uggiosa e fredda della precedente. Io e Gio in sosta iniziamo ad avere molto freddo nonostante indossassimo tutto l’abbigliamento disponibile. Dapprima si ghiacciano nuovamente le mani e poco dopo i piedi che hanno perso di nuovo sensibilità. Ad ogni sosta la cosa si fa sempre più pesante e siamo sfiniti nel tremare e battere i denti.
Scalare questa parte di via è stato molto bello per la roccia ottima e la bella linea tracciata in apertura solitaria da Messner, ma estremamente duro per le condizioni meteo della giornata.
In me iniziano a salire parecchie preoccupazioni. Siamo di nuovo in ritardo sulla tabella di marcia complice il fatto di aver seguito una cordata che si è persa finendo sugli ultimi tiri della via Archimede, con difficoltà sostenute e roccia marcia.
Scaliamo gli ultimi tiri al buio. Di nuovo tengo le mani dentro le maniche, sono 12 ore che ho freddo e scalo senza sentire i piedi, non ne posso veramente più e so che ormai mi sono caricato di freddo e stanchezza, non ho il sacco a pelo e inizio a pensare che passare la notte sulla punta della Marmolada, non sia una opzione possibile ma mi sbaglio di grosso perché si rivelerà, al contrario, l’unica opzione possibile.
Sono le 22 della seconda sera e Franz arriva in cima. Un tiro di 60 metri. Velocemente ci recupera e noi scaliamo più rapidi che riusciamo perché siamo stremati e vogliamo solamente uscire da questa situazione. Vogliamo raggiungere al più presto l’ultima stazione della funivia per ripararci.
Arriviamo anche noi in cima, siamo stremati ma contenti: abbiamo scalato la Marmolada!
Una stretta di mano, un abbraccio e subito iniziamo a prepararci per la discesa.
Riponiamo tutto quello che non ci occorre negli zaini, beviamo un po’ d’acqua e via a cercare il sentiero di discesa. Ad un certo punto troviamo un fix con anello di calata e siccome nella nebbia, per un attimo, avevamo avvistato la luce, sembrava evidente che quella fosse la direzione giusta.
Caliamoci.
Errore enorme.
Franz e Gio scendono per primi finendo su una cengia e così mentre mi calavo mi chiedono di guardare se vedo un’altra possibile “doppia”. La trovo ed allestisco una seconda calata: vanno giù prima loro che si trovano già qualche metro sotto di me, e nuovamente dopo 60 metri sono in un punto dal quale non si può scendere se non attrezzando un’altra doppia. Arrivo giù anche io e non trovo nessun altro punto per calarci ancora: la roccia è ricoperta di ghiaccio, sotto di noi c’è solo nebbia e buio e non riusciamo a capire la distanza dal presunto suolo. Ho martello e chiodi con me ma non sappiamo se bastano. Cerchiamo un sentiero per scendere ma non riusciamo a trovare nulla. Nulla tranne un piccolo terrazzino dove riusciamo a stare seduti stretti tutti e tre.
Ora realizziamo che ormai non ci rimane altro da fare che fermarci e passare la notte qui.
Pianto due chiodi ed allestisco una sosta alla quale assicurarci perché stavolta non dormiremo in cengia, ma in parete sopra al ghiacciaio. Ci assicuriamo alla sosta e sistemiamo gli zaini e la corda rimasta per farci un piano un po’ più morbido, poi ci infiliamo io nel sacco bivacco e Franz e Gio nei sacchi a pelo.
Ho freddo e il sacco bivacco non è sufficiente a ripararmi dal freddo in questa condizione. La temperatura è circa tre gradi sotto lo zero e tira vento qui in cima, sono preoccupato, molto preoccupato. Non sono attrezzato e pronto per passare un’altra notte in parete, con più freddo della precedente ed il corpo così stremato dal freddo di questi due giorni.
Inizio a pensare al peggio e so che stanotte devo stare sveglio e cercare di disperdere meno calore possibile. Dentro al sacco da bivacco si forma condensa che mi bagna i vestiti e mi si ghiaccia addosso. Che situazione assurda. Tremo e batto i denti. Anche gli altri stretti vicino a me sentono i miei tremori che mi scuotono decisamente. Per tutta notte non dormo, continuo a tremare e puntare i piedi per non scivolare di sotto anche se sono legato.
Sarà lunga far venire mattina.
Albeggia finalmente, si inizia a vedere la luce e mi rendo conto che il peggio è passato. Sono riuscito a superare questa durissima notte. Piano piano anche gli altri si svegliano ed iniziano ad uscire dal sacco a pelo. Intorno a noi ancora nebbia, non riusciamo ancora a capire dove siamo quando, ad un certo punto, il vento spazza via tutto per un attimo e ci permette di vedere il ghiacciaio.
Ci rendiamo conto che siamo finiti esattamente dalla parte opposta alla funivia. A questo punto o scaliamo la parete che è ricoperta di ghiaccio o scendiamo dal ghiacciaio senza ramponi e piccozze. Decidiamo di risalire, sono altri 120 metri di scalata dopo 2 giorni e due notti in parete, ma ormai questo è il meno.
Una volta raggiunta nuovamente la cima di Punta Rocca, notiamo un sentiero appena accennato che scende lungo la parete opposta. Lo imbocchiamo stando attenti a non scivolare perché siamo ancora parecchio alti dal piano innevato e ci dirigiamo verso la funivia. Arrivati sulla neve ci rendiamo conto che ce l’abbiamo fatta nonostante tutto ed iniziamo a correre, ridere e scherzare come tre bambini felici … eccome se siamo felici !
Più volte scendendo siamo caduti sia sul nevaio che sul sentiero perché i nostri corpi erano stremati e indeboliti dal freddo sopportato. Da un giorno avevamo finito il cibo e anche questo non ci ha aiutati. Siamo in prossimità del Passo Fedaia e finalmente iniziamo a sentirci al sicuro. Siamo tornati sani e salvi da una scalata che doveva essere impegnativa ed invece si è rivelata estrema ma la soddisfazione e le tante emozioni vissute ci riempiono il cuore e la testa.
Wow abbiamo scalato la Marmolada !
Siamo sfiniti e mentre attendiamo gli amici al rifugio Fedaia, tra risate e riflessioni ci godiamo un ristoro a base di wurstel, patatine fritte e l’immancabile birra con la quale brindiamo alla riuscita della nostra impresa.
Oggi a distanza di 4 settimane non abbiamo ancora ripreso la sensibilità ai piedi che si erano congelati, ma anche questo a volte fa parte del gioco, adesso possiamo pensare a progetti futuri.
È stata una bellissima esperienza dalla quale ho appreso tanto: in primis che fino a quando la testa regge, il nostro corpo ha tanto, tanto margine e poi quanto sia importante essere con compagni fidati ed affiatati. Ma noi non siamo solo compagni di cordata, piuttosto tre amici che hanno condiviso tantissime emozioni, sofferenze ed un’avventura straordinaria.
Ad oggi la Marmolada è la montagna che mi ha messo più a dura prova, sia fisica che mentale, anzi soprattutto mentale. Non avevo mai scalato e bivaccato in condizioni così severe e forse, proprio per questo, è quella alla quale adesso mi sento più legato.
Grazie Frenci, grazie Gio per aver condiviso tutto questo con me!!!!
Le Marmotte di Malga Ciapela:
Alessandro Graziosi
Francesco Salata
Gioacchino Dell’Argine
Ripetizione del 17, 18 e 19 luglio 2020
Alessandro Graziosi, Francesco Salata, Gioacchino Dell’Argine
Note:
- I
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